Assistente scolastico-domiciliare: un ponte per l’inclusione

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C’è una frase del giornalista e attivista Iacopo Melio che dice: “la disabilità fa parte di te, ma tu non sei la tua disabilità.” Intervistando Leonardo, assistente all’autonomia, ci rendiamo conto di quanto questa frase sia estremamente vera. Con il loro lavoro, la loro professionalità e umanità, i nostri assistenti ci ricordano che l’inclusione, quella con la I maiuscola, è una faccenda collettiva.

Leonardo è assistente scolastico-domiciliare: ciò significa che si interfaccia con due ambienti interconnessi ma diversi tra loro. Lo abbiamo intervistato per il nostro blog.

Leonardo, da quanto tempo lavori come assistente scolastico-domiciliare e come mai ha scelto di esercitare questa professione?

Lavoro come assistente scolastico-domiciliare da 14 anni e ho iniziato quasi per caso. Una famiglia che conoscevo, e che conosceva la mia famiglia, aveva bisogno di un assistente maschio per il loro figlio con disabilità e sapeva che avevo esperienza come educatore parrocchiale e come assistente nei campi scuola. Dopo poco tempo però, ho capito che era il lavoro per me.

Che cos’è per te l’assistenza all’autonomia?

L’assistenza all’autonomia per me significa essere vicini e di aiuto, in modo che il ragazzo possa fare sempre più da solo. È come seguire qualcuno che sta facendo i primi passi, accompagnandolo sfiorandogli le braccia o i fianchi: il tuo compito è di essere lì, per sostenerlo quando cede, per dargli equilibrio quando serve, oppure semplicemente per fargli sentire che è al sicuro, ma soprattutto che ce la può fare. Si tratta di un equilibrio difficile da mantenere, ma ci si aggiusta a vicenda andando avanti.

La figura dell’assistente all’autonomia rappresenta un ponte tra la scuola e la famiglia. Cosa significa nella pratica?

Operando sia in ambito scolastico sia domiciliare, come assistenti dobbiamo capire le necessità che si presentano sia a scuola sia a casa. Sono due ambienti differenti tra loro, perciò diversi sono i meccanismi, le dinamiche e le relazioni entro cui si muove il ragazzo. Stando all’interno di entrambe queste realtà, che sono comunque interconnesse, ci troviamo in un punto strategico ottimale per osservare, analizzare, capire le dinamiche, le implicazioni legate all’una o all’altra. Stando in contatto stretto e diretto tra le due parti, possiamo comunicare bisogni, problematiche e punti di forza che emergono, lavorando così poi in sinergia per cercare di capire qual è il bene del ragazzo.

Quali sono gli aspetti negativi del tuo lavoro?

La parte più difficile è accettare che non sempre la differenza che fai è subito evidente. Può servire del tempo per toccare con mano dei cambiamenti e vedere dei risultati. Che comunque arriveranno. A volte è anche molto complesso trovarsi in qualche modo al centro di una rete di figure che lavorano, con la famiglia e con la scuola, per creare percorsi personalizzati di crescita per il ragazzo.

E quali sono, invece, quelli positivi? Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Ci sono tanti aspetti del mio lavoro che amo. Io ad esempio ho questa fortuna: ho mantenuto i rapporti e sono rimasto in contatto con quasi tutti i ragazzi che ho seguito e con le loro famiglie.

Alla fine ti rendi conto che non è mai solo un lavoro: c’entrano l’affetto, l’amicizia, la stima, il reciproco rispetto.

E quando una famiglia vede l’amore e l’attenzione che ci metti… beh, ti fanno sentire davvero un po’ parte della famiglia.

Ma la cosa più bella è vedere che, anche nelle situazioni e nelle disabilità più importanti, c’è sempre qualcosa che si può fare. Questo mestiere infatti ti consente di assistere ai cambiamenti: è bellissimo avere consapevolezza che le situazioni possono sempre migliorare, anche solo di una virgola, poi spesso quella virgola è già tanto per una persona che ha disabilità e per chi le sta intorno e la ama. E a quella virgola ne seguirà un’altra e un’altra ancora. 

Immagina di parlare con qualcuno che vuole intraprendere questa professione. Che cosa gli consiglieresti? Che cosa gli diresti?

A questa persona direi che è un lavoro bellissimo, ma non facile. Bisogna avere una preparazione iniziale, ma la maggior parte poi te la farai sul campo e continuerai a dover crescere e migliorarti ogni anno… Ogni ragazzo o ragazza è a sé, perciò quello che hai imparato e applicato fino al giorno prima potrebbe essere messo totalmente in discussione il giorno dopo. Potrà capitare di sentire il peso dell’impossibilità di fare di più. Ricordati che non è così e che, in un modo o nell’altro, farai comunque un po’ la differenza nella vita di quel ragazzo o di quella ragazza. Ed è questo ciò che conta: il suo benessere dev’essere al centro di tutto. Quindi rincuorati ma fai comunque sempre attenzione. Capisci bene qual è il tuo ruolo e impegnati con amore e passione nel portarlo avanti.

Puoi raccontarci un aneddoto piacevole che ricordi in modo particolare?

Di aneddoti piacevoli ce ne sono tantissimi… A partire dai biglietti e disegni che i ragazzi a volte ti lasciano prima di andare via, con cuori, frasi gentili, ritratti di te insieme a loro e di quello che avete fatto durante la giornata. Un’altra cosa bellissima è ritagliarsi del tempo per inserire delle attività che piacciono a loro… Con un ragazzo che ama andare in bicicletta per il quartiere a volte andiamo a pedalare; con un altro che adora i film abbiamo girato dei piccoli cortometraggi; con un altro che ama i supereroi ci capitava di disegnare e costruire maschere e costumi a tema

Ci sono poi le volte particolarmente fortunate in cui riesci a trovare attività e giochi in cui sono portati e con cui riescono a sentirsi a loro agio: quando accade, si sentono totalmente inclusi nel gruppo dei pari e cadono le barriere psicologiche. Quelli forse sono i momenti migliori. In generale ogni loro grande o piccola conquista ti rimane nel cuore e ti ripaga delle difficoltà e della stanchezza che magari hai vissuto per arrivarci.

Sceglieresti di nuovo il tuo lavoro?

Sì, assolutamente!

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