L’“Anima… zione” che non ha età

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Il termine “animazióne”, dal latino animatio -onis, deriva da animare, che significa “infondere o ricevere l’anima, la vita“.

È proprio di animazione che desideriamo parlare in questo articolo e lo facciamo tramite la nostra collaboratrice Simona Giordano, educatrice professionale sociopedagogica. È lei che “anima” Villa Cozza, la celebre Casa di riposo di Macerata. È lei che “infonde l’anima e la vita”, con la sua professionalità, la sua immensa empatia, le sue attività ludico educative e le sue premure. Ma di vita, Simona, ne riceve anche tanta a sua volta. Proprio dagli ospiti di Villa Cozza, che sono circa un centinaio. Da loro riceve affetto, attenzioni, perle di saggezza. Da loro, Simona impara tantissimo. 

Nell’intervista che le abbiamo fatto e che vogliamo condividerti, tutto questo traspare: lo capiamo un po’ dalle sue parole ma soprattutto dai suoi occhi che non hanno mai smesso di brillare per tutta la durata della chiacchierata. 

Nella Casa di riposo, Simona si occupa sia dell’animazione con gli ospiti che presentano un normale invecchiamento fisiologico, sia di attività con quelli che hanno una diagnosi di Alzheimer. È un mestiere particolare il suo, così a contatto con la fragilità umana. Le abbiamo fatto qualche domanda per conoscere il suo mondo e quello degli ospiti di Villa Cozza.

Simona, cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Del mio lavoro amo sostanzialmente tutto. Mio marito, infatti, mi dice sempre: “per te questo non è un lavoro, ma una passione”.

Lavoro per passione, con passione.

Puoi raccontarci un aneddoto piacevole che ricordi in modo particolare?

Di aneddoti ce ne sono tanti. Avendo a che fare con le persone, in realtà ogni giorno c’è qualcosa di nuovo e di piacevole e ci sono situazioni e momenti che ti danno davvero tanta, tanta gioia. L’altro giorno una signora, che è arrivata da poco in struttura, mi ha guardata e mi ha detto “tu sei nata per essere buona”. Non è il complimento in sé che mi ha colpito, ma sono quei momenti, aneddoti, situazioni, che ti fanno capire che lo stai facendo bene. Quando lavori con le persone, una delle cose più importanti è ricevere un feedback, per capire se stai lavorando bene.

Quando ti arriva la conferma che, in fondo, forse lo stai facendo bene, senti che hai preso la direzione giusta e sai che puoi continuare in quel modo. 

E qual è, invece, l’aspetto più difficile di questo mestiere?

Le relazioni che si creano presentano l’altra faccia della medaglia, quella negativa: il fatto che lavori con persone che, man mano che passano i giorni, ti lasciano. Quando cominci questo mestiere, pensi: “È normale, è il percorso della vita. Non mi affezionerò, non succederà”. Ma non funziona così. Non ce la fai a non affezionarti. Mi rendo conto che, quando non lavoro, durante il giorno ogni tanto mi capita di pensare a quella persona. Se hai una preoccupazione per qualcuno, non riesci a far finta di niente. E quando una persona, con cui hai stretto un forte legame, se ne va… stai male.

In effetti ciò che accade è un po’ il contrario di quello che avviene nei nidi d’infanzia. Trascorsi i tre anni, un’educatrice di un nido lascia i bambini al loro futuro…

Sì, li vede spiccare il volo.

… In una casa di riposo, purtroppo non li lasci al loro futuro. 

Quello degli anziani è un ambito particolare. Non è un nido nel quale comunque riesci a creare gioiosità e allegria. Qui a volte ti trovi di fronte individui che non vogliono interagire, che sono di cattivo umore o che stanno vivendo momenti, più o meno lunghi, di tristezza, dolore o depressione.

E poi hai il compito difficile di accompagnarli per il pezzetto finale della loro vita. E questa è la parte più dura. È mancata da poco una persona che seguivo, a cui ero particolarmente legata… ecco, io lavoro con la sua foto nel taschino.

Le persone ti entrano nel cuore e te le porti a casa con il pensiero. 

Ma queste persone possono arricchirti con il loro passato, con la loro esperienza e saggezza…

Sì, ti arricchiscono davvero tanto, tanto. Un signore, una mattina, mi ha chiesto: “Come stai?” Io gli ho risposto: “Sono stanca.” E lui: “La stanchezza non è una malattia, a volte può anche essere una cura.” Ricorderò per sempre questa frase, perché ha cercato in qualche modo di trasmettermi: quando hai da fare, se hai tanti impegni e senti la stanchezza addosso, è perché sei vivo.

Mi sorprende la loro gentilezza, il fatto che si accorgono quando c’è qualcosa che non va. È bellissimo se riesci a superare la barriera del lavoro e diventi “una di famiglia”, anche perché la struttura deve saper creare un buon ambiente familiare. E allora si aprono a te, e io faccio lo stesso. Racconto tante cose che mi riguardano, parlo di cosa faccio, dei miei figli: perché loro mi sentano parte della loro famiglia. È importantissimo riuscire a creare un clima di estensione. L’altro giorno mi sono fatta male al piede. La mattina dopo tutti mi hanno chiesto perché zoppicavo: è quell’attenzione che ti fa capire che comunque ti considerano una di loro, una confidente. 

E poi basta poco: si tratta di riuscire a capire quali possono essere le cose che piacciono a quella persona, ciò che le dà soddisfazione, nelle quali trova un godimento e poi provare a realizzarle, perché in fondo sono cose piccole. C’è una signora che ama tantissimo le piante; io le ho dato semplicemente della terra per poter piantare e travasare le sue piantine, che a suo dire soffrivano. Quando ci occupiamo insieme delle sue piantine, mi dice: “Per me oggi è come se avessi già mangiato e bevuto, ho già fatto tutto, perché aver fatto questa cosa per me è tutto.” Quindi veramente, al di là delle attività strutturate e di ciò che è programmato giornalmente, ci sono occupazioni extra, tipo questa, che sono piccole cose e sciocchezze, che però tengono la mente e il cuore impegnati. In struttura è tanto facile abbandonarsi a momenti di noia o tristezza e comunque è difficile riuscire a gestire il passare del tempo: occuparsi delle piantine ha dato a quella signora un senso alle sue giornate, anche a lungo termine. Lei tutti i giorni ha qualcosa di cui prendersi cura, e ciò la aiuta anche in fatto di programmazione del tempo.

Simona, parliamo un po’ di animazione. Cosa succede a Villa Cozza?

L’animazione a Villa Cozza prevede una parte divertente e una meno divertente, ma quest’ultima fortunatamente viene accolta in maniera positiva. 

L’animazione più “didattica” riguarda la stimolazione cognitiva, va a lavorare sulla memoria (in particolare sulla memoria a breve termine), sul linguaggio, sulla fluenza verbale e sulle associazioni. Nello specifico, quando lavoriamo sulla memoria a breve termine, una di queste attività consiste nel guardare un foglio disegnato. Memorizziamo insieme delle parole, le associamo a qualcosa, poi le commentiamo, le descriviamo per poi mettere da parte il foglio. Raccontiamo qualcosa e, dopo circa cinque minuti, riprendiamo quel foglio e chiedo: “Di cosa avevamo parlato?” Un altro esercizio riguarda degli oggetti chiusi dentro una scatola. Li guardiamo, chiudiamo la scatola per poi riaprirla, e facciamo lo stesso procedimento. Può sembrare un’attività banale, ma per persone con un invecchiamento fisiologico non lo è affatto. Come esercizio di fluenza verbale, cerchiamo parole, aggettivi, costruiamo frasi corte e brevi che abbiano senso logico. Inoltre ogni mattina, ho preso l’abitudine di comprare i giornali e portarli in struttura. Così, tutti i giorni, una buona mezz’ora è dedicata alla lettura e al commento delle notizie, sia nazionali, sia locali. Quelle locali vengono accolte con maggiore interesse! Quest’attività favorisce anche l’orientamento spazio temporale.

Poi ci sono tante altre attività che riguardano la stimolazione cognitiva ma che sono più divertenti. Ad esempio, ho creato una sorta di gioco dell’oca che è “inventa le storie”, in cui ogni casella ha un personaggio o un’ambientazione che potrebbero essere inseriti all’interno di una narrazione. La storia può essere logica o meno, non è importante! Sto ultimando anche un altro gioco, una sorta di gioco dell’oca dei ricordi, che nelle caselle ha domande che riguardano il passato. L’idea è nata perché ci piaceva costruire delle biografie degli ospiti, ma invece di crearle con le domande dirette, ho inventato questo gioco dell’oca in cui ogni casella contiene un ricordo: la casa, il cibo, la scuola, la prima comunione, il matrimonio… Ci sono trentacinque domande, a turno ci raccontiamo e in tal modo emerge il vissuto di ognuno.

Tra le animazioni divertenti rientrano anche “i giovedì dell’aperitivo”. Ogni giovedì, sanno che c’è l’aperitivo e rappresenta anche un modo per avere qualcosa di programmato.

Durante l’estate possiamo approfittare del giardino, quindi quando è bel tempo stiamo all’aperto. E poi ci sono i momenti dedicati alla creazione di qualcosa con i laboratori creativi. Ogni laboratorio creativo è finalizzato alla creazione di qualcosa: abbiamo, ad esempio, realizzato dei ventagli, dei quadretti fatti con i girasoli, un cartellone dei ricordi… In questo periodo siamo stati occupati con il progetto “In-Opera”, che ha coinvolto alcune strutture e associazioni che si occupano di persone fragili, e abbiamo lavorato sulla Traviata di Giuseppe Verdi. Ci siamo dedicati alla creazione di una scenografia dell’opera: abbiamo realizzato bicchieri con della plastica riciclata, abbiamo imparato una parte di un’aria della Traviata e realizzato il laboratorio degli specchi, che ha avuto una buonissima riuscita, anche grazie alla collaborazione del fisioterapista di Villa Cozza. 

A questi laboratori a volte partecipano più persone, altre volte meno. Dipende dai giorni, se qualcuno è più stanco o non ha voglia… C’è un gruppo numeroso di persone che partecipa sempre: io lo chiamo il gruppo dei followers! 

Per quanto riguarda le attività, didattiche o ludiche, che hanno come finalità la stimolazione cognitiva o manuale: è corretto dire che ci sono dei progressi? Si può parlare di miglioramento?

Se ci immaginiamo “oggi nero, domani bianco”, no. Non c’è quel tipo di evoluzione. Ma il miglioramento c’è, soprattutto nell’impegno nel ragionamento. Ci sono ospiti che partecipano a queste attività proprio per un loro scopo e interesse personale, perché – come esiste la palestra per il corpo e i muscoli – desiderano tener allenata la loro mente. C’è una signora che partecipa sempre alle attività che stimolano la memoria. La mattina dopo, ci tiene a dirmi: “Sai che mi ricordo dell’attività di ieri?” Se anche un solo ospite, durante il giorno, riesce a richiamare alla mente quello che ha fatto, è comunque un esercizio. È comunque un cambiamento positivo.

Il discorso è, ovviamente, diverso per le persone con una diagnosi di Alzheimer. Per loro è tutto più difficile e il miglioramento consiste nel cambiamento della volontà di partecipare e di fare le attività. Se, ad esempio, il primo giorno a partecipare sono in due, il secondo giorno saranno in tre. Quando arrivo e saluto, mi accorgo che la loro prima domanda è: “Cosa facciamo oggi?” Questo è già un miglioramento, perché individuano una persona con la quale faranno qualcosa… Capiscono che c’è un’attività. 

Immaginati di parlare con qualcuno che vuole intraprendere questa professione. Che cosa gli consiglieresti? Che cosa gli diresti?

Devi avere curiosità. La curiosità di conoscere chi hai davanti. Perché gli ospiti di queste strutture sono prima di tutto persone, che hanno un bagaglio e una storia dietro infinita, a volte piacevole, a volte dolorosa.

Spesso ci sono avvenimenti nella vita di qualcuno che l’hanno portato ad essere magari scontroso, aggressivo, con la tendenza a isolarsi. Non sappiamo chi abbiamo di fronte, cosa ha passato e cosa prova. Perciò, prima di cominciare a fare qualunque cosa, devi avere il desiderio di conoscere chi hai davanti. Devi avere curiosità.

Sceglieresti di nuovo il tuo lavoro?

Lo sceglierei altre cento volte. Poi probabilmente ci saranno altri mille modi per fare questo mestiere. Però questo è il mio modo e, finché qualcuno non mi dirà che è sbagliato, continuerò a svegliarmi cercando di dare un senso a quello che faccio.

Ed è bellissimo, perché senti che le persone hanno capito che sei lì per loro, che stai lì perché ci vuoi stare. E ti accorgi che basta davvero una piccola cosa, a volte veramente minuscola, per strappare un sorriso.

Ti arriva gioia quando vedi che la stai dando.

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